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Educazione alimentare versus Educazione emotiva

 

Parlare di alimentazione è sempre rischioso. Se ci pensate bene, la maggior parte delle persone ha una sua opinione, dispensa consigli e ci ritroviamo ad ascoltare e leggere questi contenuti ovunque. Al bar, dalla parrucchiera, nella bottega del paese, in palestra. A volte però succede che le persone si creino delle opinioni sulla base di informazioni parziali o non corrette. Chiariamo alcuni aspetti.

Da molti anni mi occupo di alimentazione, non sono una dietista, lascio alle mie colleghe il loro compito,  sono una terapeuta che si occupa della mente.

Cosa c’entra la mente con il cibo?

C’entra si, perché l’alimentazione è anche una questione di mente, non solo di corpo.

Il cibo non solo come sopravvivenza, come nutrizione, come gratificazione ma anche come oggetto di un’educazione mentale ed emotiva.

L’educazione è l’attività che si occupa dello sviluppo e della formazione di conoscenze e facolta’ mentali, sociali e comportamentali in un individuo. Si tratta quindi di apprendere, di imparare, in questo caso, ad avere un sano regime alimentare, un’attività sportiva ma anche quanto la mente può intervenire nell’apprendimento di determinati comportamenti. Facciamo un esempio.

Nel linguaggio comune parliamo di fame emotiva, problema condiviso dalla maggior parte della gente. Che cos’è? Lo sappiamo tutti. Emotional eating è presente quando la persona mangia, non per una reale sensazione di fame, ma per gestire l’emozione. Ma se la osserviamo più da vicino possiamo fare un’altra considerazione. Queste due semplici parole associate insieme, uniscono due grandi mondi, ambiti. L’educazione alimentare (fame) e l’educazione delle emozioni (emotiva). Attualmente sono due aspetti che vengono poco considerati. Mi capita molte volte di parlare con i genitori e l’aspetto educativo non riguarda né il cibo, né le emozioni. Eppure gli apprendimenti scorretti che saranno poi causa di ostacoli in età adolescenziale e adulta, nascono fin da subito. Gli adolescenti e gli adulti con problemi o disturbi legati al cibo sono sempre più in aumento. Ma facciamo fatica a legarlo all’educazione.

Ma  se mio figlio sarà aggressivo per le prese in giro riguardo al suo peso, se mia figlia sarà ansiosa perché  penserà che essere magre sarà l’unico parametro per il suo valore, se mio figlio sarà triste perché lasciato in panchina ed escluso visto la poca agilità, se mia figlia crederà che mangiarsi un barattolo di nutella la farà sentire meglio…allora capite che non è solo una questione di cibo o di emozione ma che queste associazioni e abitudini si imparano e si esprimono nel nostro quotidiano.

Il comportamento nasce dall’emozione, e l’emozione è veicolata dalla mente. Spesso in presenza di bambini, viene offerto cibo e lo si lega all’emozione “ Ti sei fatto male? vieni che ti do una caramella…ma che bravo che sei, vuoi un cioccolatino?…non piangere ci mangiamo un biscottino…se stai buono, ti do un lecca- lecca.”

Lo si fa senza pensare, senza darci il giusto peso. Molte volte il cibo viene usato per ottenere qualcosa.. Pensate alle mamme che danno il biscotto perché è “l’unica cosa che mangia, almeno quello no?”

Ma se invece facessimo un giro di boa, se andassimo controcorrente e iniziassimo a educare noi stessi e i nostri figli a mangiare in modo corretto?

Se imparassimo che l’emozione di tristezza o frustrazione può essere gestita in modo diverso associandola a un’azione piacevole, non necessariamente al cibo che dovrebbe essere fonte di sopravvivenza e non di consolazione o gratificazione?

Educazione significa informarsi, trasmettere, permettere ai nostri figli di imparare delle abitudini, fare anche piccole scelte quotidiane che ci permettono di vivere meglio. Allora ai vostri figli, fin da piccoli, insegnateli a mangiare un cubetto di cioccolata fondente piuttosto che il kinder, a gustare i legumi piuttosto che wurstel e patatine e a riconoscere un’emozione negativa e insegnargli a legarla a una canzone divertente, a una risata, al suo libretto preferito. I bambini imparano senza fatica. Ma imparano quello che vedono, che sentono, che l’adulto gli trasmette. Non rassegnamoci all’idea che il carattere e il gusto siano degli ostacoli. Hanno il loro peso, ma molto ridotto rispetto a quello che noi pensiamo.

E allora mettiamoci all’opera.

Educhiamo all’alimentazione.

Educhiamo alle emozioni.

Così che questa famosa fame emotiva non sia più un problema reale ma solo un lontano ricordo.

 

Dott.ssa Veronica Gobbetto Psicologa e Psicoterapeuta

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Lasciate ogni speranza o voi che entrate…nel supermercato

LASCIATE OGNI SPERANZA O VOI CHE ENTRATE…

… nel supermercato, aggiungo io.

A quanti di voi, come a me, è capitato di andarci per prendere “giusto due cose che mi mancano” ed uscire con ben di più del previsto? Eh sì, succede a tutti. Per nostra poca attenzione e per loro somma abilità.

Il supermercato, come tutte le aziende, deve vendere. E per vendere adotta numerose strategie più o meno note, vediamone insieme alcune:

– accoglienza colorata e salutista con frutta e verdura (è raro trovare la macelleria all’ingresso);

– luci e colori accoglienti per rende piacevole l’esperienza di acquisto;

– musica che regola il nostro passo, più tempo passiamo all’interno del supermercato, più acquistiamo;

– sconti e promozioni: 3×2, offerta del giorno, sconto soci, accumula più punti e così via;

– posizionamento nelle corsie e sugli scaffali studiato sulla base del nostro movimento oculare e strategico per vendere maggiormente determinati prodotti.

Ovviamente ci saranno anche altre tecniche di vendita, ma quello che mi preme dirvi è che potete essere  “consumatori” più attenti se ne intuite i meccanismi e vi mettete nella condizione di non cadere nelle “trappole”.  Come diciamo spesso, la dieta inizia dalla spesa, dunque è fondamentale farla nel migliore dei modi. Come fare?

Fare una spesa intelligente è possibile con semplici accorgimenti:
> lista alla mano (e rispettarla);
> andate a pancia piena (altrimenti il radar per il junk food rimane attivo);
> preferite il cestino al carrello (meno spazio ho, meno compro);
> leggete sempre gli ingredienti di ciò che state comprando, forse è la volta buona che lo rimettete sullo scaffale (e qui mi sento in obbligo di prepararvi un articolo di approfondimento, stay tuned!);
> evitate i corridoi “tentazione” (lontano dagli occhi…);
> non raccontatevi la storiella degli ospiti, quando arriveranno ve lo sarete già mangiato (se non c’è cibo tentatore in dispensa, è tutto più facile) e ad eventuali ospiti preparerete un buon caffè.

E così siamo giunti alla fine della spesa.
Ah no, ho dimenticato il sale! Dove sarà?
Percorrete in lungo e in largo il supermercato alla ricerca di quella preziosa polverina, che accuratamente evitano di mettere in un punto facile, cosicché dovrete girare un po’ di corridoi e adocchiare qualche offerta prima di trovarlo e dirigervi verso le casse con il sale…e qualche altro prodotto trovato nel frattempo.

 

Dott.ssa Eva Da Ros Dietista

 

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Educare all’attività fisica

La definizione di “educazione” implica l’apprendimento dell’insieme delle norme, delle attività che sviluppano nell’uomo determinate facoltà e attitudini. Nelle scuole esiste una materia chiamata “educazione fisica”, che ha il compito di trasmettere un profondo messaggio dell’importanza di fare attività motoria. Ma spesso non accade o perlomeno rimane solo quell’ora chiusa tra parentesi che non viene accentuata e enfatizzata nel resto del tempo. Proprio qualche giorno fa parlavo con una paziente di fare attività fisica e la risposta è stata “…penso di non aver voglia, di non essere stata abituata…” Qui sta il problema. Non siamo stati educati, cioè non abbiamo imparato a muoverci, a ripetere questo comportamento fino a farlo diventare automatico. In effetti noi assumiamo dei comportamenti che riteniamo parte della routine e non facciamo nessuna riflessione su di essi. Mi alzo, mi lavo, mi vesto, comportamenti che nell’educazione condivisa sono fondamentali e i genitori trasmettono e sottolineano quotidianamente questo tipo di insegnamento, valutandoli come priorità. Questo mi ricorda Maslow che negli anni tra il 1940-50 delineò una piramide di bisogni primari (bisogni fisiologici come fame e sete, bisogni di protezione, bisogni di appartenenza, bisogni di stima, di successo, bisogni di realizzazione di sé). Ora non trovo il bisogno di assumere un’attività fisica che permetta all’organismo di mantenere uno stato di salute.

Che Maslow avesse sbagliato??

Temo proprio di no!!Ciò che è certo è che lo studioso viveva ancora in un’epoca (il dopo guerra), in cui il cibo non era in esubero, eccessivo come in questi ultimi vent’anni, non c’erano problemi di obesità e sovrappeso, non esistevano malattie croniche dovute a una malnutrizione e dubito fortemente che l’Organizzazione Mondiale della Sanità parlasse dell’obesità in termini di epidemia!!

Ora tutto questo esiste, il 2000 è stato un anno di svolta in cui il numero di persone in sovrappeso è stato maggiore di quello in sottopeso. Non voglio soffermarmi su una disquisizione rispetto al progresso e a ciò che ha portato. Pongo la lente di ingrandimento sull’importanza di educare le nuove generazioni all’attività fisica, non solo sportiva, perché ricordiamo che possiamo essere persone sedentarie che fanno sport!! Insegnamo loro ad avere un stile attivo nella quotidianità, insegnamogli che è meglio una corsa con l’amico che una partita di playstation, a prendere la bici piuttosto che farsi accompagnare, a suggerirci di parcheggiare lontano piuttosto che fuori dal negozio. Educhiamoli, come gli insegnamo a lavarsi i denti, a salutare quando si incontra una persona, a scusarsi se si crea un danno. Permettiamoli di entrare nella mentalità che l’attività fisica quotidiana ha la stessa valenza di respirare, mangiare, lavarsi.

E non cadiamo nel tranello di credere che la salute non abbia questo logaritmo. Gli ingredienti ci devono essere tutti e l’aspetto del muoversi è un pilastro che nell’attuale scenario storico, culturale e sanitario prende una valenza necessaria e indispensabile.

E allora non aspettiamo domani. Iniziamo oggi, stasera, ora. Infiliamo le scarpe e usciamo a camminare con l’idea che domani ripeterò quest’azione con un solo importante pensiero:”educarmi a uno stile di vita attivo!”

 

Dott.ssa Veronica Gobbetto Psicologa e Psicoterapeuta

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Facciamo pace con il cibo

MINDFUL EATING, MANGIARE CON CONSAPEVOLEZZA

 

Mangiamo in fretta per uscire presto dal lavoro o tra uno sport e l’altro dei figli o ancora davanti al computer perché non è prevista la pausa. Ma vi siete mai soffermati sul pensare al gusto di ciò che mangiate, a quanto siete veramente concentrati sul corpo e non distratti dai pensieri di ciò che dovete fare dopo o indaffarati a rispondere a messaggi e email?

La capacità di essere presenti nel momento del pasto consente una maggior connessione con le vere esigenze del corpo, che ha una saggezza spesso trascurata. Ogni cosa a cui non prestiamo attenzione è come se non esistesse. Cerchiamo di “esserci” con intenzione nel momento del pasto. Provate a chiedervi la storia di quello che state mangiando, quale strada ha fatto per arrivare da voi.

Mangiare è un piacere naturale, perché privarsene?

Mangiate con gli occhi: rendete bello il tavolo, apparecchiandolo come se ci fosse un ospite, con un fiore o una candela, decorate il vostro piatto.

Nutritevi del profumo dei cibi: l’olfatto è in contatto diretto con l’amigdala, centro delle emozioni.

Prolungate la permanenza del cibo in bocca, masticando a lungo: la soddisfazione del gusto prolungato, per maggior tempo di contatto con i recettori, stimolerà la sazietà specifica per quel cibo e dunque un adeguato consumo.

E poi, sicuri che sia sempre fame?

Tutte le volte che mangiate, ma la pancia non “brontola”.

Tutte le volte che aprite il frigorifero per vedere cosa c’è di buono.

Tutte le volte che, per fare pausa, andate alle macchinette.

La fame emotiva è la ricerca del cibo come gratificazione per una giornata pesante, come premio per aver sopportato situazioni stressanti, come riempimento di momenti di noia. Ogni scusa è buona per mettere qualcosa sotto i denti, salvo poi pentirsene pochi minuti dopo.

Un primo passo è riconoscerla, il successivo imparare a gestirla.  Distinguere i bisogni del corpo dai bisogni del cuore, talvolta con l’affiancamento di un professionista specializzato in obesità e disturbi dell’alimentazione, permette di fare pace con il cibo.

 

Dott.ssa Eva Da Ros Dietista

 

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Io cammino da sola

” Un giorno mi sono detta: devo affrontare la solitudine, guardarla in faccia, marciare, inciampare e sacramentare con lei, sviscerarla, sventrarla, affondarci le mani, quel giorno, ho chiuso la porta di casa e ho cominciato a camminare da sola”   

Tratto dal libro “Io cammino da sola” di Alessandra Beltrame.

Alessandra Beltrame (Treviso, 1964) è giornalista . Vive tra Udine e Milano. Ha lavorato per le più importanti gruppi editoriale. Per due volte ha lasciato il cosiddetto posto fisso perchè preferiva prima vivere, poi scrivere. Dal 2013 cammina quando può, appena può, zaino in spalla, a volte in compagnia del suo cane. Ha un blog: iocammino.org

Con questo libro inizia un cammino tra i cammini di altri, per cercare le ragioni del camminare, che non è solo esercizio fisico, anzi forse non lo è proprio, è qualcosa di più, è l’innata voglia di partire, quella che fin dalle origini dell’uomo ci spingeva ad esplorare, a cercare. Adesso come allora non è solo esplorare, sicuramente è ancora cercare, una ragione, un motivo, cercare come dice Alessandra nel suo libro, il proprio posto nel mondo, e non è detto che sempre lo troviamo, ma dobbiamo cercarlo.

Penso allora al mio camminare, alle ragioni che mi hanno spinto ad inforcare quei due bastoncini, ha litigarci all’inizio, ma anche adesso, qualche volta. Perchè ho cominciato a camminare ormai non ha più tanta importanza, l’importante é andare, spesso da solo affidandosi al proprio istinto e al poco senso dell’orientamento che mi trovo ad avere, accidenti se fa bene quell’andare, quell’affrontare le salite con coraggio e il fiatone. Ma non sono qui per parlare del mio cammino, ma del cammino di Alessandra, l’autrice di questo splendido libro, non nego che spesso mi sono ritrovato nel suo ruolo, nella sua infelicità.  Ecco come viene presentato il libro nella pagina interna di copertina:

“Nonostante la carriera, la conquista di una posizione pubblica, le relazioni affettive, Alessandra non è felice.

Sceglie di abbandonare il lavoro perchè non la rappresenta, lascia il compagno. Comincia a camminare, condividendo la strada con nuovi amici. Mette in moto il suo corpo, riacquista la posizione eretta. Cerca pace nella natura, scopre ritmi lenti, trova amori effimeri, vive il sesso con intensità e senza legami. Sceglie le antiche vie, solca a piedi i luoghi dove è stata bambina, prende la pioggia, la grandine, soffre sulle salite ma non si ferma.

Camminare è calpestare la terra, è congiungersi alle radici. La ripetizione ipnotica dei passi per ore, per giorni, per settimane sollecita la memoria. riaffiorano con forza gli eventi dell’infanzia e della giovinezza. Più ricorda e più sta in mezzo agli altri, più si destabilizza. Decide allora di affrontare la solitudine senza sconti: parte per un cammino da sola, in inverno. Si trova all’improvviso immersa in un viaggio interiore, dove ogni passo è diretto non tanto ad una meta quanto alla scoperta di se, delle proprie qualità, dei propri limiti. E’ una lotta per il raggiungimento di un equilibrio consapevole. Cercare il proprio posto nel mondo, dare un senso alla sua vita. Io cammino da sola è il libro che ogni spirito solitario dovrebbe leggere”.

Questo libro, come tanti altri è stato preso da Flavio libraio  e camminatore o forse è meglio dire corridore, nella sua libreria, La Pieve, di Pieve di Soligo.

Presentazione del libro presso Autitorium Battistella Moccia giovedì 8 marzo alle 20.45, sarà presenta l’autrice Alessandra Beltrame.

Durante la serata ci sarà una breve presentazione di Asd Hills.

Mi farà piacere ricevere le vostre impressioni sulla lettura di questo libro, grazie.

 

Giuliano Poletto 

 

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Semi della salute, integratori naturali

SEMI DELLA SALUTE

INTEGRATORI NATURALI

Sono buoni e fanno bene. Molto consumati nel passato e poi trascurati,oggi sono valorizzati. Sono i semi di alcune piante.
Spesso chiamati genericamente “frutta secca” li troviamo nei cesti natalizi insieme a fichi secchi, datteri e uvetta. Ecco un elenco dei semi più diffusi e disponibili: pinolo, lino, chia, nocciola, noce, pistacchio, canapa, girasole, zucca, mandorla, sesamo, cartamo, cotone, papavero, arachide (tostata ma non salata), psillio, amaranto, quinoa, tamarindo, anguria. Tutti sono semi e non frutta. La frutta secca è ottenuta dai frutti essiccati: fichi secchi, datteri, albicocche, uva, papaya…

Sono inseriti nella voce unica alimentare di “semi oleosi”, cioè semi vegetali in grado di produrre olio. Anzi i semi interi hanno un valore nutrizionale superiore al loro olio.

E’ una scelta sana mangiare ogni giorno una porzione di 30-40 grammi dei semi più graditi, o direttamente, oppure assieme in altri alimenti come verdure, yogurt.

I semi oleosi sono ricchi di:

PROTEINE con alto valore biologico, con un particolare aminoacido, ARGININA, essenziale per assicurare un’ efficiente funzione sull’endotelio vascolare (controllo pressione arteriosa, prevenzione aterosclerosi, microcircolo e nutrizione cellulare), sui neuroni cerebrali, sul sistema genitale.
ACIDI GRASSI ESSENZIALI POLINSATURI omega 3 e omega 6 così importanti per preservare l’integrità delle membrane biologiche e quindi utili nel contrastare i processi infiammatori.
MINERALI (magnesio e zinco in particolare)
-VITAMINE idrosolubili e liposolubili (A, E, K, in piccola parte D)

Per la loro ridotta dose di carboidrati e la buona dose invece di fibra risultano essere buoni regolatori dei picchi glicemici e modulatori dell’insulina. Questo li rende alleati nel dimagrimento e nel controllo del peso.

PERFETTI PER GLI SPUNTINI ANCHE INSIEME ALLA FRUTTA FRESCA O A QUELLA DISIDRATATA

 

 

Dott.ssa  Bruant Biologa e Nutrizionista

 

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Infiammazione e carico glicemico

 Perchè quando c’è un’infiammazione in corso è meglio controllare il carico glicemico, in particolare quello serale, ed è opportuno non eccedere con un’attività fisica troppo intensa e prolungata ?

 

L’infiammazione è una reazione naturale dell’organismo in risposta ad una lesione o ad un’aggressione esterna (una ferita, un trauma, un’ustione, un attacco parassitario) a carico di un tessuto o di un organo. A volte la risposta infiammatoria è di tipo generalizzato nel senso che interessa l’intero organismo. E’ il caso di malattie su base immunitaria come la psoriasi, l’artrite, la sclerosi multipla o il lupus eritematoso. Comunque sia, in caso di infiammazione, il corpo risponde con tutta una serie di accorgimenti atti a circoscrivere il problema. Vengono prodotte delle molecole, le citochine, che agiscono su tutte le cellule e su tutti i tessuti infiammati in diversi modi (produzione di molecole adesive e fattori di crescita per esempio)

Dal punto di vista ormonale si attivano a cascata tutta una serie di ormoni come adrenalina, noradrenalina, cortisolo. Il cortisolo che è un ormone catabolico promuove, in risposta all’aumentato fabbisogno energetico, la mobilizzazione di glicogeno dai muscoli e la sua liberazione come glucosio nel torrente sanguigno.

Questo, insieme a quello introdotto con la dieta, provoca un innalzamento esagerato della glicemia con trasformazione del glucosio in eccesso in grasso in particolare quello viscerale.

L’attività fisica invece provoca un’infiammazione che è necessaria per rigenerare e riparare i tessuti dopo il danno muscolare provocato proprio dall’esercizio fisico. Se l’infiammazione è eccessiva però invece di avere una ricostruzione del tessuto originario si ha la formazione di un tessuto cicatriziale con diminuzione della sua efficienza.

Ecco per quale motivo è buona norma preferire un’alimentazione di tipo antiinfiammatorio durante il giorno e in particolar modo la sera e preferire un’attività fisica giusta per il proprio fisico che tenga conto del proprio stato infiammatorio e delle energie disponibili.

 

Dott.ssa Bruant Biologa e Nutrizionista

 

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Esiste uno stress positivo?

Esiste uno stress positivo?

 

Parlando di stress diamo per scontato che si tratti di qualcosa di negativo e per questo poco utile.

In realtà le cose sono più complesse ed interessanti di come possono apparire.

Per capire dobbiamo introdurre un concetto fondamentale, cioè quello di resilienza: resilienza è un  termine coniato in ambito metallurgico che definisce la capacità di resistenza di un metallo a uno sforzo prima di rompersi. Questo concetto è stato riadattato dagli psicologi e utilizzato per indicare la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Descrive la capacità di un individuo di resistere alle difficoltà della vita senza farsi travolgere e di  affrontare le situazioni problematiche e complesse in modo adeguato e funzionale.

Non è una qualità magica, ma una capacità che si può apprendere con l’esperienza, esercitando un atteggiamento consapevole verso i propri limiti e potenzialità, imparando ad utilizzare le seconde in supporto dei primi. Ognuno di noi possiede dei “fattori di protezione” che intervengono e contribuiscono a supportare la persona nei momenti di difficoltà e che comprendono le risorse personali (autostima, autoefficacia, percezione del controllo), familiari (sostegno e vicinanza dei familiari) e sociali (rete sociale e amicale).

L’essere umano è provvisto di meccanismi biologici che hanno lo scopo di permettere la sopravvivenza e che si attivano in maniera automatica. Quanto più esercitiamo la percezione dei nostri limiti e di ciò che ci crea difficoltà, tanto più diventiamo consapevoli dei nostri meccanismi di funzionamento e di noi stessi.

Conoscenza di sé significa anche distinzione tra fattori positivi e negativi dello stress.

Si definisce eustress un stress positivo, cioè quelle situazioni di tensione minima che ci permettono di attivare al meglio le nostre risorse per superare delle prove. Rappresenta un’attivazione che ci rende vigili e reattivi, un’attenzione centrata sul compito.

Per esempio lo stress derivante dall’impegno lavorativo intenso, se accompagnato da un’ attività sportiva o rilassante, può portare a grandi soddisfazioni e realizzazioni.

Con  distress si intende quella quantità di stimolazioni di varia natura che impattano in modo emotivamente potente e destabilizzante su di noi. Essi arrivano al nostro organismo in breve tempo e se non trovano un adeguato e funzinale canale di sfogo o gestione, agiscono negativamente sulla qualità del nostro equilibrio. Se non sufficientemente gestito e sfogato lo stress diventa negativo e disfunzionale.

Ancora una volta l’attività fisica rappresenta uno strumento fondamentale per una corretta e sana gestione dello stress.

 

Dott.ssa Barbara Casagrande Psicologa e Psicoterapeuta

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Che cos’è il benessere?

Che cos’è il benessere?

Quando parliamo di benessere, ci riferiamo ad uno stato che riguarda tutti gli aspetti dell’essere umano e che caratterizza la qualità della vita di ogni persona.

Ma che cosa s’intende per benessere? L’Oms lo definisce come “lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società”. Ci si riferisce quindi ad un modello biopsicosociale in cui diversi sono i fattori in relazione ( sociali, psicologici, biologici) e che non riguarda solo l’assenza di sintomi o malattia.

Quando si parla di benessere non si può non parlare dei fattori di stress che lo minano.

Ma cosa si intende per stress?

Possiamo definirlo come la risposta dell’organismo umano a più eventi che sono stati chiamati stressor, che ne alterano l’equilibrio omeostatico. Per equilibrio omeostatico s’intende per l’appunto la sensazione di benessere: ci si sente bene con il nostro corpo, c’è un equilibrio tra componenti fisiche e psichiche, siamo atletici, vitali, sereni.

Gli eventi che possono modificare il nostro equilibrio possono essere di natura fisica, chimica o psicosociale. In particolare gli stressor che appartengono alla sfera psicosociale sono distinguibili in due categorie: i life events  e i daily stress.

I life events sono quelle circostanze di natura ambientale o legate a cambiamenti di vita, che  richiedono all’individuo un riadattamento sociale (morte di un coniuge, separazione, divorzio, matrimonio, nascita di un figlio, cambiamento economico, cambio residenza, inizio della scuola, pensionamento, problemi sul lavoro ecc…): essi definiscono la relazione che intercorre tra gli eventi di vita e l’insorgenza di una patologia: per esempio come un evento luttuoso incida sullo sviluppo di una malattia, fisica o mentale. In questa definizione va tenuto in considerazione che esiste una decodifica personale e soggettiva che rende più o meno probabile l’evoluzione in un senso o nell’altro di una situazione.

I daily stress, o stress giornalieri, comprendono i piccoli o grandi eventi quotidiani che toccano le nostre esistenze: scioperi, utilizzo dei mezzi, traffico, lavoro routinario o noioso, file e code, vicini rumorosi, vivere con una parente malato, schiamazzi notturni ecc. In ordine di tolleranza questi stressor risultano più stressanti dei life events in quanto due fattori, cioè il tempo e la ripetizione ostacolano il naturale ritorno all’equilibrio a cui l’organismo umano tende per natura. Cioè un evento stressante che si ripete nel tempo non consente il recupero dell’ equilibrio.

Esiste anche un altro fattore, il grado di novità di un evento sull’individuo: è stato dimostrato che persone diverse a fronte dello stesso evento non conosciuto hanno un innalzamento delle quote del cortisolo (l’ormone dello stress) nel sangue maggiore rispetto a persone informate dei fatti. Inoltre, la percezione soggettiva della possibilità di evitare un evento o al contrario l’impossibilità di farlo, influisce sulla reazione messa in atto.

 

Dott.ssa Barbara Casagrande Psicologa e Psicoterapeuta

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I grassi fanno ingrassare?

I GRASSI FANNO INGRASSARE? TESSUTO ADIPOSO BIANCO E TESSUTO ADIPOSO BRUNO.

I lipidi o grassi, sono composti organici largamente diffusi in natura, e rappresentano una delle quattro principali classi di composti organici di interesse biologico, insieme a glucidi, protidi ed acidi nucleici. I lipidi vengono identificati sulla base delle loro proprietà comuni di solubilità: sono insolubili in acqua (definiti per questo idrofobici), mentre sono solubili in solventi organici come etere dietilico o acetone, alcoli e idrocarburi.

Nell’organismo umano assolvono molte ed importanti funzioni:

apporto energetico (1 gr fornisce 9 kcal)

forniscono gli acidi grassi essenziali all’ organismo

favoriscono l’assorbimento intestinale delle vitamine liposolubili

sono componenti fondamentali delle membrane cellulari in tutti i tessuti

gli acidi grassi polinsaturi appartenenti alle famiglie n6 e n3 sono precursori di composti che nell’organismo svolgono importanti funzioni regolatorie.

Si suddividono in TRIGLICERIDI, FOSFOGLICERIDI, COLESTEROLO.

TRIGLICERIDI

Sono esteri del glicerolo con 3 acidi grassi. Gli acidi grassi sono caratterizzati dalla diversità di lunghezza della catena (acidi a corta, media e lunga catene) e dalla presenza, numero e posizione di doppi legami tra gli atomi di carbonio delle catene idrocarburiche. In base a queste caratteristiche chimiche gli acidi grassi si dividono in:

SATURI (privi di doppi legami) per esempio Ac.Palmitico,Butirrico

MONOINSATURI (con un solo doppio legame) per esempio Ac.Oleico

POLINSATURI (con due o più doppi legami) Ac.Omega 3 e Ac.Omega 6

GRASSI TRANS O GRASSI IDROGENATI

Con l’idrogenazione gli acidi grassi insaturi diventano sostanzialmente saturi (o almeno così vengono percepiti dal nostro organismo) e hanno una maggiore consistenza e un maggiore punto di fusione. Questi grassi trovano il loro impiego soprattutto nell’industria alimentare, e li troviamo in moltissimi preparati, come i dolciumi, i gelati e tanto altro ancora.

ACIDI GRASSI POLINSATURI

Gli acidi grassi polinsaturi detti anche PUFA n-3 sono acidi grassi essenziali fondamentali per il corretto funzionamento dell’organismo.

Gli Omega 3 sono importanti per la loro presenza nelle membrane cellulari di cui mantengono l’integrità.

L’acido grasso omega -3 maggiormente rappresentato nel mondo vegetale è l’acido alfa-linolenico (ALA). E’ diffuso in oli vegetali come lino, canapa, ribes nero, colza, frutta a guscio ma anche nel formaggio di alta montagna.  Questo acido grasso deve essere trasformato in EPA (acido eicoisapentaenoico)e DHA(acido docosaesaenoico) per esercitare quegli effetti biologici determinanti per il corretto funzionamento di alcuni organi e apparati quali cervello, retina e gonadi e per la prevenzione di malattie quali aterosclerosi e malattie cardiovascolari. Per questo motivo in certe circostanze è meglio assumere direttamente EPA e DHA  contenuti diffusamente in certi pesci  per esempio pesce azzurro , salmone  e nei crostacei. Gli acidi grassi polinsaturi sono più fluidi di quelli saturi e perciò si distribuiscono meglio nelle membrane biologiche mentre al contrario gli acidi grassi saturi favoriscono la formazione di un reticolo rigido.

 

COLESTEROLO

Ha una struttura molecolare piuttosto diversa da quella della maggior parte dei lipidi ma viene schematizzato in questo gruppo per la sua insolubilità in acqua. Fanno parte della famiglia dei lipidi molte sostanze a base di colesterolo: gli steridi (esteri del colesterolo con un acido grasso) gli acidi biliari, gli ormoni sessuali e altri composti steroidei. Il colesterolo è un componente delle membrane cellulari ma è anche precursore di importanti ormoni, degli acidi biliari e della vitamina D. Il colesterolo può essere di origine esogena se assunto attraverso l’alimentazione (carne e in particolare cervello, latticini, tuorlo d’ uovo) o di origine endogena  se sintetizzato dal fegato a partire dagli acidi grassi insaturi. Nel caso nell’organismo scarseggino gli insaturi, il fegato utilizza per questa sintesi acidi grassi saturi; tuttavia in tal caso si formano composti scarsamente solubili che si depositano nelle arterie, favorendo la formazione di placche. Il colesterolo circola nel sangue legato a proteine.

HDL (lipoproteine ad alta densità). Sono prodotte a livello epatico e del piccolo intestino. Sono denominate colesterolo buono perché rimuovono il colesterolo dalla parete delle arterie e lo riportano, attraverso la circolazione, al fegato dove viene usato per la formazione della bile. Strategie per aumentare il colesterolo buono comprendono la perdita di peso/raggiungimento peso forma, l’attività di tipo aerobica (5 volte a settimana per trenta minuti al giorno) consumo moderato di alcool, acidi grassi moniinsaturi e omega 3, sesso femminile durante l’età fertile ma anche scelte nutrizionali che comprendano frutta secca, cereali integrali, pesce azzurro, verdure a foglia verde, frutta come mele, uva, agrumi.

LDL (lipoproteine a bassa densità) denominate colesterolo cattivo e VLDL (lipoproteine a densità molto bassa) contengono una maggior percentuale di lipidi e di colesterolo e una minor quantità di proteine. Queste lipoproteine manifestano un’affinità per le cellule dell’endotelio delle arterie. Liberano colesterolo in questa sede dove, concentrandosi e aggregandosi provocano la formazione di placche con conseguente alterazione funzionale della parete arteriosa e un restringimento del lume del vaso.
I prodotti finali della digestione lipidica ad opera delle lipasi e dei Sali biliari sono gli acidi grassi liberi che a livello della mucosa intestinale vengono risintetizzati e “impacchettati” in particelle lipoproteiche di trasporto dette chilomicroni che attraverso il circolo ematico e linfatico trasportano i lipidi della dieta a tutti i distretti. In questo modo si forma il tessuto adiposo sottocutaneo costituito da cellule adipose di piccole dimensioni, sensibili all’insulina e con alta capacità antiinfiammatoria. In caso di surplus energetico il tessuto adiposo funge da stoccaggio e aumenta quello sottocutaneo. Se la capacità di stoccaggio è compromessa, stress, processi infiammatori cronici o introito che supera la capacità di stoccaggio aumenta il tessuto adiposo viscerale con depositi di grasso in sedi inconsuete come organi interni e muscoli. Questo grasso è costituito da cellule di grandi dimensioni resistenti all’ insulina e con alta capacità infiammatoria.Il tessuto adiposo è un vero e proprio organo costituito da due tipi di cellule (bianche e brune ),in grado di produrre veri e propri ormoni che influenzano l’ attività dell’ intero organismo.Nei mammiferi esistono due tipi di tessuto adiposo :quello bianco e quello bruno. Quello bianco,giallognolo per l’ alto contenuto di carotenoidi,rappresenta la quasi totalità del grasso di riserva. L’altro tipo di tessuto adiposo,detto bruno,è abbondante nei mammiferi che vanno in letargo (ibernanti) e nei cuccioli.

Nell’ uomo il tessuto adiposo bruno è presente in piccole quantità nel neonato (zona ascellare ed interscapolare ). Con la crescita buona parte di questo tessuto si trasforma in tessuto adiposo bianco . Il ruolo svolto dagli adipociti bruni è diverso da quello ricoperto dagli adipociti bianchi. Le cellule sono più piccole e il colore scuro è dovuto alla presenza di citocromi contenuti nei numerosi mitocondri. A differenza dell’adipocita bianco ,gli adipociti bruni non contengono un’ unica massa grassa localizzata in periferia della cellula ma tante piccole gocce di trigliceridi distinguibili all’ interno della cellula. Esiste però anche una differenza dui funzione.Gli adipoci ti bruni hanno una funzione termogenica. Mentre negli adipociti bianchi l’ idrolisi dei trigliceridi avviene in base alle richieste energetiche dell’ organismo,in quelli bruni la degradazione dei grassi avviene in risposta ad un abbassamento della temperatura corporea. Questo fenomeno è chiamato termogenesi senza brivido ,per distinguerlo dal classico brivido (contrazione muscolare involontaria per produrre calore).

Secondo gli studi più recenti ,il tessuto adiposo dei mammiferi e quindi anche dell’ uomo, è capace di trasformare gli adipociti bianchi in adipoci bruni. Le sue cellule non sono sempre numericamente costanti ma  subiscono una contrazione e il tessuto si restringe al bisogno. Le funzioni dei due diversi tipi di cellule sono antitetiche. Quelle bianche accumulano lipidi mentre quelle brune li bruciano.

La scoperta di questi meccanismi biologici fa intravedere futuri sviluppi terapeutici  nel trattamento dell’ obesità. Sono attualmente in corso diversi  studi che utilizzano il freddo, abbinato all’ attività fisica ,per incrementare la percentuale di grasso bruno .

I grassi quindi non sono  dannosi nella dieta. Anzi sono necessari nella misura del 20-30% secondo la Dieta Mediterranea che risulta essere oggi una delle diete più accreditate. Occore scegliere i grassi giusti cioè i grassi polinsaturi e non bisogna tuttavia demonizzare i grassi saturi che se sono consumati con moderazione non sono nocivi.

Come sempre il problema sta nelle quantità consumate e nello stile di vita. In certe condizioni anzi aumentare la quota di grassi nella dieta può essere vantaggioso anche se i grassi saturi vanno comunque sempre molto razionati.

Dott.ssa Bruant Biologa e Nutrizionista

 

 

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